Obbligo di interconnessione tra POS e registratori telematici: si parte dal 2026

La Legge di Bilancio introduce un nuovo obbligo per gli esercenti, con lo scopo di combattere l’evasione fiscale.

A partire dall’1.1.2026 è infatti previsto l’obbligo di integrazione tra i registratori telematici e i sistemi di pagamento elettronici (POS). I POS dovranno quindi essere permanentemente collegati ai sistemi di memorizzazione e trasmissione dei corrispettivi, permettendo quindi la trasmissione all’Agenzia delle Entrate, oltre che dei corrispettivi anche dei pagamenti ad essi collegati e che transitano per il POS.

Attraverso questo sistema sarà immediatamente possibile riscontrare eventuali discrepanze tra gli scontrini emessi e i pagamenti effettuati.

Con l’introduzione dell’obbligo, viene previsto anche un apparato sanzionatorio collegato. Nello specifico è prevista:

  • la sanzione di 100 euro per ogni omessa o errata memorizzazione o trasmissione dei dati dei pagamenti elettronici;
  • la sanzione da 1.000 a 4.000 euro in caso di mancato collegamento del POS al registratore telematico;
  • l’estensione della sanzione accessoria della sospensione dell’attività in caso di ripetute violazioni degli obblighi di certificazione dei corrispettivi si applicherà anche ai casi di omessa, tardiva o incompleta trasmissione dei dati dei pagamenti elettronici giornalieri;
  • le sanzioni previste per l’omessa installazione degli apparecchi misuratori fiscali, si applicano anche nei casi di mancato collegamento dello strumento di accettazione dei pagamenti elettronici con gli strumenti di memorizzazione e trasmissione dei corrispettivi.

Nonostante l’obbligo scatti solo dal 2026, è quindi opportuno contattare i propri fornitori di registratori telematici al fine di verificare la compatibilità dei sistemi esistenti ed eventualmente pianificare gli investimenti tecnologici necessari.

Distacco di personale: assoggettamento ad Iva dal 2025.

Il distacco di personale è una pratica lavorativa in cui un datore di lavoro (distaccante) mette temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto (distaccatario) per l'esecuzione di specifiche attività lavorative, mantenendo la titolarità del rapporto di lavoro.

I requisiti fondamentali per un distacco legittimo includono:

  • interesse del distaccante: il distacco deve essere giustificato da un interesse reale e oggettivo dell'impresa che distacca il lavoratore;
  • temporaneità: il distacco deve avere una durata predeterminata e non può essere permanente;
  • mantenimento del rapporto di lavoro: il dipendente rimane alle dipendenze del datore di lavoro originario, che continua a gestire la retribuzione e gli obblighi previdenziali.

Fino a tutto il 2024 il corrispettivo per il distacco di personale era esplicitamente escluso da Iva se si limitava al mero rimborso dei costi sostenuti dal distaccante e non fosse quindi previsto alcun importo eccedente (mark up) rispetto al costo effettivo.

A seguito di una sentenza della Corte di Giustizia del 2019, e al fine di evitare di incorrere in una procedura d’infrazione, il D.L. 131/2024 ha introdotto un’importante modifica riguardante il trattamento Iva applicabile ai servizi di distacco e prestito del personale.

A partire dal 2025, infatti, saranno soggette ad Iva le prestazioni di distacco e prestito di personale in cui esiste un nesso diretto tra la prestazione e il corrispettivo, e questo anche quando si proceda al semplice rimborso dei costi sostenuti se, comunque, il pagamento si configura come una controprestazione del distacco.

Al fine di intervenire a gamba tesa sulle operazioni in corso e su quelle passate, però, la norma fa salvi i comportamenti adottati dai contribuenti anteriormente all’1.1.2025, sia di coloro che si sono conformati alla sentenza della Corte di Giustizia (e quindi hanno iniziato ad applicare l’Iva) sia di coloro che hanno continuato ad escludere da Iva le prestazioni.

Decreto Milleproroghe 2025: le novità della conversione in legge

Ha completato l’iter parlamentare il Decreto Milleproroghe per l’anno 2025, e con la conversione in legge è importante evidenziare le principali novità portate dal compendio normativo. Vediamo insieme quelle di maggior interesse.

Fatturazione elettronica per operatori sanitari

Viene esteso a tutto il 2025 il divieto di fatturazione elettronica per gli operatori sanitari tenuti all’invio dei dati al Sistema tessera sanitaria. Il divieto, inizialmente previsto solo fino al 31 marzo 2025, si estende adesso a tutto l’anno.

Regime di esenzione Iva per gli Enti del Terzo Settore

Viene confermato anche in sede di conversione che il nuovo regime di esenzione Iva, previsto per alcune prestazione degli Enti del Terzo Settore, viene spostato all’1.1.2026. Nessun obbligo di partita Iva, quindi, per gli Enti associativi nell’anno 2025.

Svolgimento online delle assemblee di società

Viene estesa a tutto il 2025 la facoltà, per Società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, cooperative e mutue assicuratrici, fondazioni e associazioni, di svolgere le assemblee tramite il ricorso di mezzi di telecomunicazione, anche qualora questo non fosse previsto dalle proprie disposizioni statutarie.

Per tutto il 2025 è quindi possibile prevedere:

  • che il voto sia espresso in via elettronica o per corrispondenza;
  • che l’intervento in assemblea avvenga mediante mezzi di telecomunicazione;
  • l’assemblea si svolga, svolga, anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano l’identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l’esercizio del diritto di voto, senza in ogni caso la necessità che si trovino nel medesimo luogo, ove previsti, il presidente, il segretario o il notaio.

Riapertura rottamazione quater

Grazie ad una previsione contenuta nel decreto, coloro che hanno aderito alla rottamazione quater ma che per omesso, insufficiente o tardivo versamento sono stati considerati decaduti al 31.12.2024, possono essere riammessi presentando, entro il 30.04.2025, un’apposita dichiarazione all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, scegliendo il numero di rate in cui si intende effettuare il pagamento, nel numero massimo di 10.

Polizze assicurative per il rischio catastrofale

Viene confermata la proroga, dal 31.12.2024 al 31.03.2025, dell’obbligo per le imprese con sede o stabile organizzazione in Italia, di stipula di contratti assicurativi a copertura dei rischi catastrofali a danno dei beni materiali detenuti.

Assegnazione agevolata beni ai soci ed estromissione immobili strumentali

Torna, a distanza di pochi anni, la possibilità di assegnazione agevolata dei di beni ai soci di società e la possibilità di estromissione degli immobili strumentali dell’imprenditore individuale.

La norma agevola le suddette operazioni, in quanto le rende più appetibili rispetto alla tassazione che subirebbero in assenza della norma, e non si discosta nelle sue parti fondamentali da analoghe norme agevolative previste in passato.

Assegnazione agevolata dei beni ai soci

La norma si rivolge a:

  • società in nome collettivo
  • società in accomandita semplice
  • società a responsabilità limitata
  • società per azioni
  • società in accomandita per azioni

e si applica alle assegnazioni ai rispettivi soci di beni immobili (fatta eccezioni per quelli strumentali per destinazione) o beni immobili iscritti nei pubblici registri (anch’essi non utilizzati come beni strumentali).

Possono essere oggetto di assegnazione agevolata coloro che sono soci delle suddette società al 30 settembre 2024 o agli eredi che subentrano come soci successivamente al 30 settembre 2024. Per le società di persone, in mancanza di libro soci, l’identità dei soci va provata mediante altro titolo avente data certa (es. atto costitutivo o atto di trasferimento).

In questo caso l’agevolazione si concretizza nel pagamento di un’imposta sostitutiva sulle plusvalenze pari all’8% (in luogo delle ordinarie aliquote d’imposta) che sale al 10,5% nel caso in cui la società risulti non operativa in almeno due dei tre periodi d’imposta precedenti.

Oltre all’aliquota agevolata, la norma prevede un’ulteriore agevolazione data dal fatto che per gli immobili il valore da prendere in considerazione non è quello “normale” ma quello ottenuto con il ricorso ai moltiplicatori catastali previsti ai fini dell’imposta di registro.

La norma agevola anche il comparto delle imposte indirette, visto che è prevista la riduzione alla metà dell’imposta di registro eventualmente applicabile (che passa dal 3% all’1,5%) e l’applicazione delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa, mentre non vi è alcuna agevolazione in termini di Iva.

Estromissione agevolata degli immobili strumentali dell’imprenditore individuale

Parallelamente all’assegnazione dei beni ai soci, la norma agevolativa interviene anche sulla estromissione, dal patrimonio dell’impresa individuale, di eventuali immobili strumentali dell’imprenditore posseduti al 31 ottobre 2024.

In particolare possono essere oggetto di estromissione gli immobili:

  • strumentali per “destinazione”, vale a dire, gli immobili che sono utilizzati esclusivamente per l'esercizio dell'impresa indipendentemente dalle caratteristiche specifiche;
  • strumentali “per natura”, ossia gli immobili che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni e che si considerano strumentali anche se non utilizzati direttamente dall'imprenditore o anche se dati in locazione o comodato.

La condizione di strumentalità va valutata al 31 ottobre 2024. Quindi se, nelle more, il bene è stato concesso in uso a terzi, è sempre possibile procedere all’esclusione beneficiando delle norme agevolative.

In caso di estromissione di detti beni al 31 maggio 2025 (pur con effetti retroattivi all’1 gennaio 2025) è prevista anche qui una imposizione pari all’8% sulla plusvalenza e le plusvalenze medesime possono essere determinate assumendo, in luogo del valore normale, il valore catastale determinato i relativi moltiplicatori.

Il pagamento dell’imposta sostitutiva, sia in caso di assegnazione che di estromissione, dovrebbe avvenire in due rate entro il 30 novembre 2025 ed entro il 30 giugno 2026.

Enti associativi: slitta il nuovo regime di esenzione Iva

Tra le tante proroghe dell’omonimo decreto, una farà particolarmente felici gli enti associativi. Slitta di un anno – dall’1.1.2025 all’1.1.2026 - l’entrata in vigore del nuovo regime di esenzione Iva per le attività svolte dagli enti associativi non profit.

Il regime di esenzione Iva per gli enti associativi nasce con l’intento di sostituire l’attuale esclusione dall’ambito di applicazione dell’Iva di molte attività di cessione di beni o prestazioni di servizi, facendole diventare in alcuni casi esenti e in altre imponibili.

Questo comporterà degli ulteriori adempimenti a carico degli enti associativi, facendo scattare l’obbligo di apertura della partita iva, di fatturazione elettronica, di registrazione delle operazioni, di presentazione delle liquidazioni periodiche Iva e della dichiarazione Iva.

Passeranno nel regime di esenzione, ad esempio:

  • le prestazioni di servizi e cessioni di beni ad esse strettamente connesse, effettuate a soci in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali, di categoria, religiose, assistenziai, culturali, di promozione sociale e di formazione extra scolastica della persona
  • le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica rese da associazioni sportive dilettantistiche alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica ovvero nei confronti di associazioni che svolgono le medesime attività
  • le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, organizzate al loro esclusivo profitto
  • la somministrazione di alimenti e bevande nei confronti degli indigenti da parte di associazioni di promozione sociale

Passeranno invece nel regime di imponibilità, ad esempio:

  • le prestazioni di servizi effettuate a soci non in conformità delle finalità istituzionali
  • le cessioni di beni non strettamente connesse alle prestazioni di servizi conformi alle finalità istituzionali
  • le prestazioni di servizi e cessioni di beni ad esse strettamente connesse effettuate a non soci in conformità delle finalità istituzionali
  • le cessioni di beni effettuate da associazioni sportive dilettantistiche in conformità alle finalità istituzionali
  • la cessione di pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extrascolastica della persona, effettuate prevalentemente ai propri associati
  • la somministrazione di alimenti e bevande nei confronti dei soci e non soci da parte degli enti associativi

Dal punto di vista operativo, le alternative di fronte agli enti associativi saranno:

  • di aderire all’obbligo senza adottare particolari contromisure
  • di aderire al regime speciale ex l. 389/1991 (finchè, per alcuni enti, sarà ancora possibile) con una parziale semplificazione degli adempimenti rispetto al regime iva ordinario
  • scegliere la c.d. dispensa dagli adempimenti, possibile solo se si pongono in essere esclusivamente operazioni esenti, con l’esonero dall’obbligo di fatturazione

Società di comodo: con la riforma Irpef si allentano i parametri

Le cosiddette "società di comodo", conosciute anche come "società non operative", sono un tema centrale nella normativa tributaria italiana, introdotte per contrastare l'uso improprio delle società a fini elusivi. La disciplina mira a individuare quelle entità giuridiche che non svolgono un'effettiva attività economica, ma vengono utilizzate per conseguire vantaggi fiscali, come la detenzione di beni o il rinvio del pagamento delle imposte.

Una società è considerata di comodo se non supera il test di operatività, basato su un confronto tra i ricavi effettivamente conseguiti e i ricavi presunti calcolati in base ai beni posseduti.

Il test di operatività si basa su parametri prestabiliti (coefficiente sui beni immobili, mobili registrati, partecipazioni, ecc.) che determinano i ricavi minimi presunti. Se i ricavi effettivi non raggiungono questi valori, la società viene classificata come non operativa.

Essere considerati “di comodo” comporta delle conseguenze penalizzanti per la società, in particolare:

  • anche in assenza di redditi effettivi, viene tassato il reddito minimo presunto
  • esistono limitazioni alla compensazione dei crediti fiscali: restrizioni nell'utilizzo dei crediti IVA e di altre imposte.
  • per l'IRES è previsto un incremento dell’aliquota applicabile.

Con l’approvazione del decreto di riforma Irpef-Ires viene in parte allentato il meccanismo delle società di comodo, in particolar modo intervenendo sia sulle aliquote volte a determinare i ricavi minimi che fanno stare fuori dal regime, sia sulle aliquote volte a quantificare il reddito minimo tassabile in caso si rientri nel perimetro di non operatività.

In particolar modo, per quanto attiene al calcolo dei ricavi minimi, già dal 2024 si applicheranno le seguenti aliquote:

  • 1% (in luogo del 2%) sul valore delle partecipazioni, titoli e crediti finanziari;
  • 3% (in luogo del 6%) sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili, anche in leasing;
  • 2,5% (in luogo del 5%) per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10;
  • 2% (in luogo del 4%) per gli immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei 2 precedenti;
  • 0,5% (in luogo dell’1%) per tutti gli immobili situati in piccoli Comuni.

Per quanto attiene al reddito minimo, si applicheranno le seguenti percentuali:

  • 0,75% (in luogo dell’1,5%) sul valore di partecipazioni, titoli e crediti finanziari;
  • 2,38% (in luogo del 4,75%) sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili, anche in leasing;
  • 2% (in luogo del 4%) per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10;
  • 1,5% (in luogo del 3%) per le immobilizzazioni costituite da beni immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei 2 precedenti;
  • 0,45% (in luogo dello 0,9%) per tutti gli immobili situati in piccoli Comuni.

Buoni carburante e buoni spesa ai dipendenti: profili fiscali

Con l’avvicinarsi del periodo natalizio diviene sempre più frequente la possibilità che il datore di lavoro eroghi ai dipendenti, a titolo di gratifica, i c.d. buoni carburante o dei c.d. buoni spesa in modo da consentire al dipendente di usufruirne per l’acquisto di carburante o di altri beni oggetto del buono. Vediamo la disciplina fiscale, in modo da valutarne la convenienza per chi li eroga.

Imposte sui redditi

Ai fini delle imposte sui redditi, i buoni carburante e/o spesa costituiscono fringe benefit in capo ai dipendenti e, per questi ultimi, beneficiano dell’esclusione da imposizione:

  • per il 2024, se di importo inferiore a 1.000 euro e, per i dipendenti con figli, a 2.000 euro calcolati per periodo d’imposta
  • per tutti gli altri anni, se di importo inferire a 258,23 euro nel periodo d’imposta.

Va evidenziato che i buoni carburante/spesa non possono essere utilizzati da persona diversa dal titolare e non possono essere ceduti a terzi, quindi, se il buono consegnato non è nominativo, sarebbe opportuno che il datore di lavoro conservi la prova che quel determinato buono sia stato consegnato ad uno specifico dipendente (es. istituendo un apposito registro oppure attraverso invio di una comunicazione tracciata, anche attraverso il sistema informatico aziendale).

Diversamente da altre tipologie di fringe benefit, la normativa di favore è applicabile anche nel caso in cui il buono sia assegnato al singolo dipendente, non essendo necessaria l’assegnazione a tutti i dipendenti o a categorie omogenee degli stessi.

La spesa per l’acquisto dei buoni è integralmente deducibili per il datore di lavoro, sia esso impresa o lavoratore autonomo.

Iva

Nella maggior parte dei casi, sia i buoni carburante che i buoni spesa rientrano nella categoria dei c.d. buoni corrispettivo monouso, cioè un buono che dà diritto all’acquisto del carburante o dei beni da uno specifico fornitore.

In questo caso il datore di lavoro riceverà dal soggetto emittente il buono una fattura con addebito di Iva, in quanto si sa già al momento dell’emissione quale sarà il trattamento Iva applicabile. L’Iva sarà integralmente detraibile.

Se invece il buono dovesse essere un c.d. multiuso, cioè, dare diritto all’acquisto di una pluralità di beni da una pluralità di fornitori, la fattura emessa per l’emissione dei buoni sarà fuori campo Iva in quanto il corretto trattamento Iva si conoscerà solo quando il dipendente procedere materialmente all’acquisto di un bene/servizio utilizzando il buono ricevuto.

Decreto Sanzioni: le principali novità

È stato approvato in via definitiva il Decreto Legislativo di attuazione della parte della riforma fiscale che attiene alle sanzioni. Vediamo le principali novità.

Principio di proporzionalità delle sanzioni

Viene introdotto un nuovo principio di proporzionalità in funzione del quale:

  • se una sanzione è manifestamente sproporzionata rispetto alla violazione commessa, la stessa può essere ridotta fino ad 1/4 della misura prevista;
  • in casi di particolare gravità della violazione commessa, la sanzione potrà essere aumentata fino alla metà;
  • in caso di recidiva, la sanzione dovrà essere aumentata fino al doppio nei confronti di chi, nei 3 anni successivi al passaggio in giudicato della sentenza che accerta la violazione o all’inoppugnabilità dell'atto, dovesse incorrere in un’altra violazione della stessa indole.

Nuove misure delle sanzioni

Il Decreto sostituisce le sanzioni proporzionali – che prevedevano un minimo e un massimo – con sanzioni fisse di solito pari all’importo minimo attualmente in vigore o riducendo l’importo della sanzione applicabile.

A titolo esemplificativo:

  • la sanzione per omessa dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi, Irap e Iva (oggi punita con la sanzione amministrativa dal 120% al 240%) viene sostituita dalla sanzione amministrativa del 120%;
  • la sanzione per omessi versamenti passa dal 30% al 25%;
  • la sanzione per l’infedeltà della dichiarazione (imposte sui redditi, Irap e Iva) passerà dalla misura variabile (dal 90% al 180%) a quella fissa del 70%, con un minimo di 150 euro;
  • ugualmente, in caso di omessa fatturazione, omessa certificazione di corrispettivi, indebita detrazione Iva e mancata regolarizzazione di acquisti senza fattura o con fattura irregolare la sanzione è ridotta al 70%.

Nuova causa di non punibilità

Non potrà essere sanzionato il contribuente che, dopo avere appreso di avere commesso una violazione alla luce delle indicazioni rese dall'Amministrazione Finanziaria (con circolari, interpelli o consulenze), dovesse decidere di adeguarsi regolarizzando la propria posizione. A tal fine:

  • sarà necessario presentare una dichiarazione integrativa entro 60 giorni dalla pubblicazione dei documenti di prassi per eliminare la violazione commessa e versare l'imposta;
  • la violazione dovrà essere dovuta dalle obiettive condizioni d'incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma tributaria.

Novità sul ravvedimento operoso

Possibilità di applicare il c.d. “cumulo giuridico” che consente, a fronte di più violazioni, di scontare un’unica sanzione (debitamente aumentata).

In particolare, in caso di più violazioni da regolarizzare, la nuova norma prevede che, ove conveniente, la sanzione può essere calcolata utilizzando quella prevista per la violazione più grave aumentata di 1/4 con un ulteriore incremento in caso di violazioni rilevanti ai fini di più tributi.

Disposizioni comuni alle sanzioni amministrative e penali

Le violazioni di omesso versamento di ritenute e di Iva si concretizzano il 31.12 dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Viene inoltre previsto che, per i delitti di omesso versamento viene prevista espressamente la non punibilità del reato se il fatto dipende da cause sopravvenute non imputabili all’autore, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’Iva. A tali fini, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di Amministrazioni Pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.

Crediti d’imposta non spettanti o inesistenti

Viene data una nuova definizione di credito di imposta inesistente rispetto a quello non spettante:

  • saranno considerati “inesistenti” i crediti mancanti, in tutto o in parte, dei requisiti oggettivi o soggettivi richiesti dalla normativa di riferimento o quelli per i quali tali requisiti sono oggetto di rappresentazioni fraudolente attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici;
  • saranno considerati “non spettanti” i crediti che, pur in presenza dei requisiti richiesti dalla normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito.

Nuove procedure per l’accertamento dell’aliquota Iva applicabile

La determinazione della corretta aliquota Iva applicabile alla cessione di un bene non è sempre semplice.

Il Decreto Iva contiene delle tabelle in allegato che identificano una serie di prodotti o di servizi che beneficiano delle aliquote Iva ridotte dl 4%, 5% e 10% ma, in alcuni casi, un bene non è facilmente inquadrabile nelle categorie indicate dal legislatore.

Nei casi in cui vi è dubbio sull’aliquota applicabile alla cessione di un bene, è necessario far riferimento alla classificazione doganale del bene – che è riportata nelle suddette tabelle – chiedendo all’Agenzia delle Dogane un accertamento tecnico che inquadri esattamente la categoria corrispondente al bene che si intende cedere. Tale accertamento andrà poi allegato ad apposita istanza di interpello che andrà inviata all’Agenzia delle Entrate per avere il riscontro definitivo sulla corretta aliquota applicabile.

Dal 1° maggio 2024 le modalità di presentazione delle istanze di accertamento tecnico sono state semplificate, consentendo al richiedente di utilizzare il canale telematico (indirizzo di posta certificata dir.dogane@pec.adm.gov.it) utilizzando il nuovo modello scaricabile dal portale dell’Agenzia delle Dogane.

Ogni domanda dovrà essere accompagnata da documenti tecnici specifici (schede tecniche, foto, analisi chimiche e campioni) necessari per una corretta valutazione dell’aliquota Iva applicabile. All’interno del modello occorre riportare la descrizione dettagliata della merce, indicandone la natura, la funzione o l’uso e la sua composizione, descrivendone le caratteristiche (ad esempio le dimensioni, il colore, l’imballaggio ed altre particolarità, nonché il processo di fabbricazione).

L'Agenzia delle Dogane si impegna a fornire una risposta alle istanze di accertamento tecnico entro 120 giorni dalla ricezione della domanda. Nel caso in cui sia necessario espletare l’analisi del campione merceologico da parte dei Laboratori chimici doganali, tale termine è sospeso fino all’esito delle analisi.

Società di comodo: la detrazione Iva non può essere impedita

La normativa italiana sulle società di comodo è incompatibile con le norme comunitarie in materia di Iva. A stabilirlo la Corte di Giustizia Europea che ha contestato il mancato rispetto del principio di neutralità dell’Iva e di proporzionalità.

La normativa italiana in merito alle società di comodo prevede infatti l’impossibilità di chiedere a rimborso o compensare orizzontalmente in F24 il credito Iva risultante dalla dichiarazione annuale.

È altresì impedito lo scomputo dell’Iva a credito con quella a debito relativa ai periodi d’imposta successivi, se ricorrono contestualmente due condizioni:

  • La società risulta per tre periodi consecutivi non operativa (non raggiungendo quindi l’ammontare minimo di ricavi previsti dalla norma)
  • La società non ha effettuato, in nessuno dei tre periodi d’imposta, operazioni rilevanti ai fini Iva per un importo almeno pari all’ammontare minimo previsto dalla norma.

La Corte di Giustizia è intervenuta affermando che è impossibile negare il diritto alla detrazione dell’Iva sulla base di una presunzione fondata solo sull’ammontare dei ricavi percepiti inferiori ad una soglia considerata “insufficiente”, perché questo mina il principio di neutralità dell’Iva che deve incidere sul consumatore finale mentre, con la normativa italiana, incide anche sull’operatore economico.

L’effetto immediato della decisione della Corte è quello di portare ad un’immediata disapplicazione della norma, che deve essere interpretata in senso conformo a quanto deciso anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa.

Quindi:

  • per i controlli e/o per il contenzioso in corso, la decisione della Corte di Giustizia dovrà essere subito presa in considerazione, con esclusione quindi solo degli accertamenti divenuti definitivi e delle sentenze passate in giudicato;
  • sarà possibile presentare dichiarazioni integrative che consentano il recupero del credito Iva illegittimamente disconosciuto.

Sarebbe in ogni caso auspicabile un intervento dell’Agenzia delle Entrate che dia istruzioni in merito agli uffici periferici e che chiarisca se la sentenza, relativa alla detrazione dell’Iva, sia applicabile – come pare logico – anche alla parte della norma che limita il diritto al rimborso dell’Iva e alla compensazione orizzontale, modificando di conseguenza anche tutti i modelli dichiarativi.

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