Split payment: dal 1° luglio 2025 fuori le società quotate

A partire dal 1° luglio 2025, le società quotate nell'indice FTSE MIB della Borsa Italiana usciranno dal perimetro dello split payment. Questo cambiamento, previsto dalla Decisione di esecuzione UE 2023/1552, comporta che per le cessioni e prestazioni effettuate nei confronti di tali società, l'IVA tornerà ad essere versata direttamente dai fornitori, secondo le modalità ordinarie.

Cosa cambia per i fornitori

Fino al 30 giugno 2025, i fornitori emettono fattura con IVA applicando il meccanismo dello split payment, ossia indicando che l'IVA è versata direttamente dal cliente. Dal 1° luglio 2025, invece, dovranno emettere fattura con IVA e versare l'imposta secondo le modalità ordinarie, includendo l'IVA nelle proprie liquidazioni periodiche.

Attenzione agli errori

In caso di errori nella fatturazione, come l'applicazione errata dello split payment dopo il 1° luglio 2025, sarà necessario emettere una nota di variazione per correggere l'IVA esposta in fattura. È quindi fondamentale aggiornare tempestivamente le procedure interne e i sistemi di fatturazione per adeguarsi al nuovo regime.

Verifica degli elenchi

Per determinare se una società è soggetta allo split payment, è necessario consultare gli elenchi pubblicati annualmente dal Dipartimento delle Finanze. La disciplina dello split payment si applica dalla data di effettiva inclusione del soggetto nell'elenco e della pubblicazione dell'elenco stesso.

Operazioni triangolari intracomunitarie: cosa sono e come vanno gestite

Le operazioni triangolari intracomunitarie sono transazioni commerciali che coinvolgono tre soggetti passivi IVA situati in differenti Stati membri dell'Unione Europea. Queste operazioni prevedono due cessioni di beni ma un unico trasporto, dal primo cedente al destinatario finale. La corretta gestione di tali operazioni consente di beneficiare del regime di non imponibilità IVA, evitando duplicazioni d'imposta e semplificando gli adempimenti fiscali.

Struttura dell'operazione triangolare

In una tipica operazione triangolare intracomunitaria:

  • Primo cedente (A): situato in uno Stato membro, vende beni al promotore.
  • Promotore (B): situato in un altro Stato membro, acquista i beni da A e li rivende al destinatario finale.
  • Destinatario finale (C): situato in un terzo Stato membro, riceve direttamente i beni da A.

Il trasporto dei beni avviene direttamente da A a C, su incarico di B.

Requisiti per la non imponibilità IVA

Affinché l'operazione sia considerata non imponibile ai fini IVA, devono essere soddisfatti i seguenti requisiti:

  • Trasporto intracomunitario: i beni devono essere spediti o trasportati da uno Stato membro all'altro.
  • Soggetti passivi IVA: tutti e tre i soggetti coinvolti devono essere identificati ai fini IVA in Stati membri diversi.
  • Unico trasporto: il trasporto dei beni deve avvenire direttamente dal primo cedente al destinatario finale, su incarico del promotore.

Fatturazione corretta

  • A emette fattura a B senza applicazione dell'IVA, indicando la non imponibilità ai sensi dell'art. 41, comma 1, lett. a) del D.L. 331/1993.
  • B emette fattura a C senza applicazione dell'IVA, specificando che si tratta di un'operazione triangolare e che l'imposta è dovuta dal destinatario (reverse charge).

È fondamentale che la fattura emessa dal promotore (B) contenga l'esplicita indicazione dell'operazione triangolare e del meccanismo del reverse charge. La semplice dicitura "operazione triangolare intracomunitaria esente" non è sufficiente; è necessaria la chiara indicazione del trasferimento dell'obbligo d'imposta al destinatario finale.

Conseguenze dell’errata gestione dell’operazione

Quali sono le conseguenze di una errata gestione dell’operazione di triangolazione? In assenza di una corretta gestione delle operazioni, le stesse perderebbero del beneficio della non imponibilità, con il recupero da parte dell’Agenzia delle Entrate dell’Iva non addebitata, oltre alle sanzioni e agli interessi conseguenti.

È quindi essenziale prestare molta attenzione, per evitare di incappare in inaspettati e costosi errori.

Cosa fare se il fornitore non ci invia la fattura?

Nei rapporti con i propri fornitori può capitare che, a seguito dell’acquisto di beni o di servizi, non si riceva la relativa fattura d’acquisto, nonostante i ripetuti solleciti.

Questa omissione, oltre a creare problematiche organizzative e contabili, non deve essere sottovalutata dal cessionario perché può essere fonte di sanzioni in caso di verifica da parte dell’Agenzia delle Entrate. In particolar modo la sanzione è pari, ad oggi, al 70% dell’imposta, con un minimo di 250 euro, salvo che non si proceda ad un adempimento comunicativo che esonera da detta responsabilità.

Già in passato esisteva un modo, normativamente previsto, che consentiva di evitare la sanzione per omissioni dei propri fornitori.

La previgente disciplina, che prevedeva anche una sanzione più elevata, comportava:

  • l’obbligo per il cessionario di emettere una particolare “autofattura denuncia”, con tipo documento TD20, da inviarsi se non si riceveva la fattura entro 4 mesi. Detta autofattura andava inviata entro 30 giorni dallo scadere dei 4 mesi;
  • l’obbligo per il cessionario di versare l’Iva su detta fattura se si intendeva portarla in detrazione.

Questa modalità era però assai gravosa, in particolar modo per l’obbligo del cessionario di versamento dell’Iva che poteva portare – in caso di pagamento già effettuato al fornitore – alla duplicazione nel versamento dell’imposta.

Dall’1 aprile 2025 cambiano però le modalità attraverso cui evitare di essere sanzionati. In particolar modo non sarà più necessario il versamento dell’Iva sulla fattura ma, piuttosto, andrà effettuata la sola comunicazione della mancata ricezione attraverso la predisposizione di un documento con codice documento TD29. Tale comunicazione andrà effettuata entro 90 giorni dal momento in cui il fornitore avrebbe dovuto emettere la fattura o ha emesso la fattura irregolare (momento che non è sempre facilmente individuabile, ed è questa una delle criticità di tale norma).

Il tipo documento TD20 rimarrà ancora valido, invece:

  • per la mancata ricezione o la ricezione di fattura irregolare in caso di reverse charge, avendo l’accortezza di rispettare comunque in nuovi termini comunicativi (entro 90 giorni dal momento in cui si sarebbe dovuta emettere la fattura);
  • per la mancata ricezione o la ricezione di fattura irregolare in caso di acquisto intracomunitario, con emissione da effettuarsi entro il giorno 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione.

È quindi opportuno che ogni impresa tenga traccia della mancata ricezione delle fatture di acquisto, al fine di operare l’invio delle comunicazioni TD29 e TD20 per tempo ed evitare le relative sanzioni.

Fatture: attenzione alla descrizione troppo generica

A volte capita di ritrovarsi di fronte delle fatture con una descrizione troppo generica.

Va ricordato che, secondo l’art. 21 del Decreto Iva, la fattura deve contenere “una descrizione dettagliata del bene o del servizio” e l’emissione di una fattura con descrizione eccessivamente generica comporta per l’emittente l’applicazione di una sanzione da euro 1.000 ad euro 8.000 ma, soprattutto, per chi le riceve ha come conseguenza l’indetraibilità dell’Iva e l’indeducibilità del relativo costo.

Sul tema è intervenuta più volte anche la giurisprudenza che ha chiaramente statuito che l’indicazione della descrizione dettagliata di beni o prestazioni acquistate all’interno della fattura, elettronica o cartacea, risponde ai principi di trasparenza e conoscibilità ed è funzionale a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’amministrazione finanziaria.

Per esempio sono stati considerati indeducibili:

  • i costi riportati in una fattura, con descrizione generica riguardante determinati servizi, e in cui non vengono indicati gli estremi del documento di trasporto riconducibile ai trasporti eseguiti, né il periodo a cui si riferiva la prestazione;
  • i costi per prestazioni del professionista con la dicitura in fattura di “prestazione di consulenza commerciale effettuata”, non supportata da sufficiente documentazione;
  • in tema di Iva, la Cassazione ha ritenuto indetraibile l’imposta portata da fatture per “servizi vari di consulenza”, “servizi vari ammnistrativi” e “servizi di segreteria”. In sostanza non basta che venga indicata una descrizione vaga come “acquisto merci” o “consulenza fiscale”, ma bisognerà indicare in maniera scrupolosa “natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione”.

In merito alla specifica deducibilità dei costi derivanti da fatture generiche, la Cassazione ha statuito che in questi casi l’onere della prova della deducibilità è posto in carico al contribuente, fornendo le informazioni complementari (es. contratti, ddt, lettere d’incarico) che consentano di dimostrare l’inerenza del costo cui la fattura si riferisce.

È quindi essenziale sia in fase di emissione di una fattura che di sua ricezione da parte di un fornitore, di una verifica della corretta esposizione degli elementi che obbligatoriamente devono essere in essa indicati pena, in caso di verifica fiscale, il possibile disconoscimento della deducibilità del costo e di detraibilità dell’IVA (fatture ricevute) o l’irrogazione di sanzioni per irregolare fatturazione (fatture emesse).

30 novembre: scade il versamento del bollo virtuale su fatture elettroniche

Con l’avvento della fatturazione elettronica, il tradizionale assolvimento dell’imposta di bollo con apposizione di una marca fisica è andato ovviamente scomparendo. Non è però scomparso l’obbligo di versamento dell’imposta che viene adesso effettuato attraverso l’apposizione di un “bollo virtuale”, cioè, indicando in un apposito campo della fattura elettronica che la stessa è soggetta ad imposta di bollo.

Sono tante le casistiche che possono comportare l’apposizione del bollo virtuale. Si pensi al caso delle prestazioni mediche, esenti sulla base dell’art. 10 del Decreto Iva, o di quelle fatture che riportano importi esclusi dalla base imponibile (ad esempio le spese anticipate in nome e per conto del cliente) o ancora importi fuori campo Iva (come tutte le operazioni dei c.d. forfetari).

In tutti questi casi, quando l’importo della fattura (o delle somme esenti o non imponibili o fuori campo Iva) è superiore a 77,47 euro sorge l’obbligo di apporre il bollo virtuale.

Ma se il bollo è virtuale, come si effettua il pagamento?

Di regola il pagamento va fatto per singoli trimestri, secondo questa scansione:

  • bollo virtuale relativo al I trimestre, versamento entro il 31 maggio
  • bollo virtuale relativo al II trimestre, versamento entro il 30 settembre
  • bollo virtuale relativo al III trimestre, versamento entro il 30 novembre
  • bollo virtuale relativo al IV trimestre, versamento entro il 28 febbraio

La norma prevede però che, se l’importo del bollo dovuto per il I trimestre o cumulativamente per il I e II trimestre non supera i 5.000 euro, il versamento può essere differito direttamente al 30 novembre, in uno con il versamento previsto per il III trimestre.

Inoltre, l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione sul portale “Fatture e Corrispettivi”:

  • l’Elenco A, che elenca le fatture per le quali l’utente ha inserito l’imposta di bollo virtuale. Questo elenco non è modificabile;
  • l’Elenco B, che elenca le fatture per le quali l’Agenzia ritiene vada apposto il bollo. Questo elenco è modificabile, in quanto l’utente può escludere tutte le fatture per le quali ritiene che il bollo non vada comunque apposto.

Ricezione di una fattura errata: cosa fare?

Durante lo svolgimento della propria attività d’impresa o di lavoro autonomo può sicuramente capitare di ricevere una fattura errata o irregolare. Ci si chiede, quindi, come comportarsi di fronte a tale evento e, su questo, ci viene in soccorso una norma di comportamento dell’AIDC di Milano che prospetta tre casistiche e i relativi comportamenti corretti da adottare. Vediamoli assieme.

Fattura per operazioni inesistenti

Qualora la fattura ricevuta riguardi una operazione che non si sia mai verificata (inesistenza oggettiva) o sia stata posta in essere con soggetti diversi da quelli indicati in fattura (inesistenza soggettiva) ci troviamo di fronte ad una fattura per operazioni inesistenti.

Posto che l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti fa scattare fattispecie penali per l’emittente e l’utilizzatore, chi riceva una fattura del genere non deve assolutamente registrarla. Dovrà invece contattare l’emittente (qualora ciò sia possibile) per ottenere l’eliminazione integrale del documento attraverso l’emissione di una nota di credito.

Errata applicazione del regime impositivo

Qualora la fattura ricevuta rientri in una delle seguenti ipotesi:

  • fattura per operazione esclusa che si sarebbe dovuta assoggettare ad Iva
  • fattura per operazione non imponibile o esente che avrebbe dovuto essere imponibile
  • fattura con aliquota inferiore a quella effettiva

il cessionario deve registrare la fattura nel registro acquisti e, in caso di mancata rettifica della stessa da parte del cedente, dovrà procedere a regolarizzare autonomamente la fattura irregolare entro 30 giorni dalla registrazione (sempre che il cedente non corregga spontaneamente l’errore tramite nota di credito ed emissione di una nuova fattura corretta). La correzione della fattura è necessaria per poter legittimamente portare in detrazione l’Iva indicata in fattura.

La correzione dovrà avvenire attraverso l’emissione di un’apposita autofattura al sistema di interscambio.

La correzione non è dovuta in caso di errata applicazione del regime del reverse charge, ove l’Iva sia stata assolta dal cedente/prestatore o dal cessionario/committente.

Errori e irregolarità che non incidono sulla determinazione dell’imposta

Qualora la fattura ricevuta sia errata, ma gli errori non incidono sulla determinazione dell’imponibile e dell’imposta, la procedura per la correzione è analoga a quella che si verifica in caso di errata applicazione del regime impositivo, con l’importante differenza che, in ogni caso, il cessionario è legittimato alla detrazione dell’Iva anche in caso di omessa correzione.

Va inoltre evidenziato che le correzioni obbligatorie sono solo quelle relative agli elementi essenziali e formali della fattura e cioè:

  • data di emissione
  • numero progressivo che la identifichi in modo univoco
  • ditta, denominazione o ragione sociale, nome e cognome, residenza o domicilio del soggetto cedente o prestatore, del rappresentante fiscale nonche' ubicazione della stabile organizzazione per i soggetti non residenti;
  • numero di partita IVA del soggetto cedente o prestatore;
  • ditta, denominazione o ragione sociale, nome e cognome, residenza o domicilio del soggetto cessionario o committente, del rappresentante fiscale nonche' ubicazione della stabile organizzazione per i soggetti non residenti;
  • numero di partita IVA del soggetto cessionario o committente ovvero, in caso di soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell'Unione europea, numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato membro di stabilimento; nel caso in cui il cessionario o committente residente o domiciliato nel territorio dello Stato non agisce nell'esercizio d'impresa, arte o professione, codice fiscale;
  • natura, qualita' e quantita' dei beni e dei servizi formanti oggetto dell'operazione;
  • data in cui e' effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi ovvero data in cui e' corrisposto in tutto o in parte il corrispettivo, sempreche' tale data sia diversa dalla data di emissione della fattura;
  • corrispettivi ed altri dati necessari per la determinazione della base imponibile, compresi quelli relativi ai beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono;
  • corrispettivi relativi agli altri beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono;
  • aliquota, ammontare dell'imposta e dell'imponibile con arrotondamento al centesimo di euro;
  • data della prima immatricolazione o iscrizione in pubblici registri e numero dei chilometri percorsi, delle ore navigate o delle ore volate, se trattasi di cessione intracomunitaria di mezzi di trasporto nuovi;
  • annotazione che la stessa. e' emessa, per conto del cedente o prestatore, dal cessionario o committente ovvero da un terzo.

Detrazione delle fatture di acquisto a cavallo d’anno

Avvicinandosi la fine dell’anno, capita spesso che si ricevano a gennaio fatture d’acquisto relative al mese di dicembre ed è importante sapere come comportarsi in questi casi in particolar modo relativamente all’esercizio in cui detrarre la relativa Iva.

Di regola, una fattura d’acquisto di un certo mese X, ricevuta nel mese successivo X+1, può contribuire alla liquidazione del mese X se è annotata nei registri Iva entro il 15 del mese X+1. Questa regola, però, non è valida per le fatture a cavallo d’anno.

L’ultimo periodo dell’art. 1, comma 1, del D.P.R. 100/1998 recita infatti: “Entro il medesimo termine di cui al periodo precedente (entro il 16 di ciascun mese n.d.r.) può essere esercitato il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, fatta eccezione per i documenti di acquisto relativi ad operazioni effettuate nell’anno procedente”.

Questo significa che un documento di dicembre, ricevuto a gennaio, non potrà partecipare alla liquidazione Iva del mese di dicembre o del corrispondente trimestre.

Questa evenienza è purtroppo molto frequente, ancor più da quando, con la fatturazione elettronica, è possibile identificare esattamente il momento di ricezione della fattura. Quindi, ad esempio, beni acquistasti a fine dicembre, con fattura emessa a dicembre ma inviata all’Agenzia delle Entrate a gennaio, contribuiranno a diminuire l’Iva dovuta a gennaio e non a dicembre.

Il suggerimento è quindi di sollecitare i proprio fornitori ad inviare immediatamente allo SDI le fatture emesse a ridosso della fine dell’anno, per evitare spiacevoli sorprese in sede di liquidazione IVA.

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