Enti del Terzo Settore: come gestire il lavoro volontario

All’interno degli Enti del Terzo settore la figura del volontario occupa un posto centrale, ma spesso genera dubbi quando l’impegno diventa continuativo e l’organizzazione inizia a somigliare, per orari e responsabilità, a quella di un vero e proprio dipendente.

Il Codice del Terzo settore (D.Lgs. 117/2017) è molto chiaro nell’affermare che il volontariato deve rimanere un’attività gratuita e solidale, incompatibile con qualsiasi forma di retribuzione. Da qui discendono una serie di obblighi per gli enti e di cautele per evitare che l’Ispettorato del lavoro riqualifichi il rapporto in lavoro subordinato.

Attività gratuita e divieto di compensi

La gratuità è il tratto distintivo del volontario. Non soltanto l’ente non può riconoscere alcuna forma di corrispettivo, ma nemmeno il beneficiario dell’attività può farlo. È una deroga esplicita al principio costituzionale di retribuzione (articolo 36), giustificata dalla finalità solidaristica. Non basta però eliminare il pagamento di un compenso per mettersi al riparo: se l’organizzazione impone orari rigidi, mansioni tipiche di un lavoratore e un sistema di controlli simile a quello aziendale, l’assenza di busta paga può non bastare ad evitare la riqualificazione.

Gli obblighi a carico dell’ente

Perché l’attività di volontariato sia legittima l’ente deve in primo luogo assicurare tutti i propri volontari contro infortuni, malattie connesse all’attività e responsabilità civile verso terzi. Dal 2021 la polizza è obbligatoria anche per chi presta la propria opera solo in modo sporadico: in tal caso è sufficiente che l’organizzazione raccolga i dati anagrafici dell’interessato prima che inizi l’attività, così da poterli comunicare all’assicuratore in caso di sinistro.

Chi svolge volontariato in maniera sistematica deve essere inoltre iscritto in un apposito registro. Il registro, che può essere tenuto anche in formato elettronico purché immodificabile, dev’essere numerato e bollato da un notaio o da altro pubblico ufficiale; in esso vanno indicati i dati anagrafici, il codice fiscale e le date di inizio e cessazione dell’attività. Mantenere il registro aggiornato non è un mero adempimento formale, ma uno dei primi elementi che l’Ispettorato del lavoro verifica durante un controllo.

A questi obblighi se ne aggiungono altri di carattere operativo: rimborso delle spese sostenute dal volontario (solo se effettivamente documentate), sorveglianza sanitaria e fornitura dei dispositivi di protezione se il volontario opera in contesti a rischio, inserimento del volontario nei piani di sicurezza aziendale e nel documento di valutazione dei rischi.

Il pericolo della riqualificazione

La linea di confine fra volontario e lavoratore subordinato può diventare sottile. In presenza di indicatori come l’eterodirezione, la continuità della prestazione, l’integrazione stabile nell’organizzazione e – soprattutto – la corresponsione di somme che vanno oltre il rimborso spese, l’Ispettorato del lavoro può concludere che si tratta di un vero e proprio rapporto di lavoro. La recente nota 1156/2024 dell’INL precisa che, se l’ente ha rispettato l’iscrizione nel registro e l’assicurazione obbligatoria, la riqualificazione non comporta la maxi?sanzione per lavoro nero perché manca l’elemento della completa occultazione del rapporto. Se invece questi adempimenti sono assenti, l’ente viene trattato a tutti gli effetti come datore che impiega personale “in nero”, con le relative sanzioni.

Buone prassi per non sbagliare

Per ridurre i rischi è opportuno redigere una scheda di incarico per ogni volontario, indicare con chiarezza la natura gratuita della prestazione, limitare l’imposizione di orari rigidi, rimborsare solo spese effettivamente documentate e, se possibile, differenziare le mansioni dei volontari da quelle dei dipendenti. Un controllo periodico sul registro, sulle polizze assicurative e sulla documentazione di rimborso spese aiuta l’ente a dimostrare la propria diligenza in caso di ispezione.

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