Durante la vita di un’impresa può capitare di vantare dei crediti di difficile o impossibile recuperabilità e l’imprenditore si pone giustamente il problema di come stralciarli e di quali effetti lo stralcio avrà dal punto di vista fiscale.

Sulla base del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, le perdite su crediti sono deducibili:

  • se risultano da elementi certi e precisi;
  • se relative a crediti di modesta entità e sia decorso il termine di sei mesi dalla scadenza del pagamento: il credito è considerato di modesta entità quando è di importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevanti dimensioni o a 2.500 euro per le altre.
  • quando il diritto alla riscossione è prescritto. Il termine ordinario è decennale salvo quando la legge dispone diversamente;
  • in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio in applicazione dei principi contabili;
  • rinuncia al credito e remissione di debito: se deriva da un atto unilaterale antieconomico costituisce una liberalità e come tale è fiscalmente indeducibile. Per la deducibilità del costo occorre dimostrare che la rinuncia ha una logica economica ed è inerente, ad esempio comprovando l’inopportunità di porre in essere azioni esecutive o l’inconsistenza patrimoniale del debitore.

Ebbene quest’ultima procedura, quella della dichiarazione della remissione del debito è spesso poco utilizzata ma rappresenta, a volte, l’unico strumento disponibile per dare valenza fiscale alla perdita su credito.

La dichiarazione di remissione, disciplinata dall’art. 1236 e seguenti c.c., è un atto unilaterale recettizio che, una volta notificato al debitore e salvo che questo dichiari di non volerne beneficiare, comporta il venir meno del credito ai fini civilistici ma anche fiscali.

Sotto il profilo operativo, la remissione può avvenire sia per atto pubblico, ossia redatto da un notaio, sia in forma di scrittura privata, da notificare alla controparte con data certa (Pec, raccomandata a/r in plico aperto, mediante messo notificatore). Nel caso di scrittura privata è opportuno che l’atto preveda un tempo congruo per la risposta (per l’accettazione o l’assai improbabile diniego da parte del

debitore), oltre all’indicazione di un termine decorso il quale deve intendersi formato il silenzio assenso. Alla dichiarazione deve essere allegato, qualora l’atto sia redatto dall’amministratore della società, il verbale del consiglio di amministrazione che ha deliberato in tal senso.

L’unico ulteriore elemento necessario ad assicurare la deducibilità del costo anche ai fini fiscali è la dimostrazione che la rinuncia ha una logica economica, ad esempio comprovando l’inconsistenza patrimoniale del debitore o l’inopportunità di attivare azioni esecutive nei confronti del debitore. La prova deve essere rigorosa perché, in caso di assenza di prova, l’Agenzia delle Entrate potrebbe riqualificare la rinuncia in un atto di liberalità, facendo venir meno la deduzione del relativo costo.