Secondo la Cassazione, nel calcolo delle franchigie per l’applicazione dell’imposta sulle successioni, non vanno considerate le donazioni fatte in vita dal defunto.

Il Testo Unico sull’Imposta sulle Successioni e Donazioni (TUS) prevede aliquote e franchigie diverse a seconda delle diverse tipologie di successioni. In particolar modo l’aliquota dell’imposta è:

  • del 4%, per i trasferimenti effettuati in favore del coniuge o di parenti in linea retta (ascendenti e discendenti) da applicare sul valore complessivo netto, eccedente per ciascun beneficiario, la quota di 1 milione di euro;
  • del 6%, per i trasferimenti in favore di fratelli o sorelle da applicare sul valore complessivo netto, eccedente per ciascun beneficiario, 100.000 euro;
  • del 6%, per i trasferimenti in favore di altri parenti fino al quarto grado, degli affini in linea collaterale fino al terzo grado, da applicare sul valore complessivo netto trasferito, senza applicazione di alcuna franchigia;
  • dell’8%, per i trasferimenti in favore di tutti gli altri soggetti da applicare sul valore complessivo netto trasferito, senza applicazione di alcuna franchigia.

Oltre alle franchigie di 100.000 euro e di 1 milione di euro, vi è una ulteriore franchigia, pari ad 1,5 milioni di euro, per i trasferimenti effettuati in favore di soggetti portatori di handicap, riconosciuto grave ai sensi della legge n. 104 del 1992.

Nel Testo Unico è ancora presente una norma che prevederebbe l’istituto del cosiddetto “coacervo” in base al quale, per effettuare il calcolo di aliquota e franchigie, alla massa ereditaria andrebbero sommate le donazioni fatte in vita da parte del defunto.

Secondo la Cassazione, però, detto istituto nasceva per un altro scopo e cioè per assicurare il rispetto della progressività dell’imposta quando le aliquote erano a scaglioni e non fisse.

A seguito dell’art. 69 della legge 342/2000, che ha introdotto il nuovo sistema di aliquote proporzionali fisse e non più per scaglioni, l’istituto del “coacervo”, secondo la Cassazione, sarebbe stato implicitamente abrogato, con la conseguenza di impedire di sommare alla massa ereditaria le donazioni fatte in vita.

Ciò comporta che, ad esempio, se il defunto ha donato in vita 300.000 euro al proprio coniuge e, al momento della morte, al coniuge spetta una parte dell’eredità corrispondente al valore di 900.000 euro, in entrambi i casi sarà applicabile la franchigia che esonererà dall’applicazione dell’imposta. Prima dell’intervento della Cassazione, invece, ai 900.000 euro di massa ereditaria si sarebbero sommati i 300.000 euro della donazione fatta in vita e l’imposta sarebbe stata dovuta, con l’aliquota del 4%, su 200.000 euro (dati da 900.000 euro più 300.000 euro meno la franchigia di 1.000.000 euro).