Può capitare che, durante la propria attività d’impresa, ci si rivolga a dei fornitori che emettano fattura in seguito rivelatesi false in quanto “soggettivamente inesistenti”. In questo caso la falsità della fattura non dipende dall’operazione in sé, che si svolge regolarmente, ma dal fatto che il soggetto che emette la fattura è diverso da quello che fornisce la merce o il servizio.

In questi casi, a seguito dell’accertamento dell’inesistenza del fornitore emittente la fattura, a cascata viene travolto anche chi quella fattura l’ha ricevuta, con ricadute non solo meramente economiche (es. recupero dei costi detratti) ma anche penali.

In generale l’acquirente, per ridurre il rischio di subire una contestazione di utilizzo di fatture false o comunque precostituirsi le prove che gli consentiranno di difendersi, dovrà prestare massima attenzione ai profili legati al cliente e all’operazione. In particolare va prestata massima attenzione quando:

  • l’operazione si conclude a prezzi evidentemente fuori mercato
  • il ricarico applicato dal fornitore è minimo
  • il fornitore opera secondo canali di mercato non consueti
  • vi sono anomalie nelle tempistiche nelle modalità dei pagamenti (es. pagamenti su conti esteri a fronte di fornitori nazionali o pagamenti in contanti)
  • si riscontrano anomalie nel comportamento e nelle qualità dell’intermediario con il quale si intrattengono le operazioni commerciali.

Recentemente la Corte di Cassazione, con sentenza 25016/2020, ha comunque spezzato una lancia in favore del contribuente. Nella sentenza la Cassazione ha ricordato che l’Amministrazione finanziaria ha l’onere della prova non soltanto della fittizietà del fornitore, ma anche della consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in uina evasione d’imposta.

A maggior ragione, quindi, evitare di chiudere operazioni che presentano indici di rischio e mantenere prova della non antieconomicità dell’operazione, possono essere elementi cruciali per evitare contestazioni tributarie e penal-tributarie.